Il Babyloss Awareness Month, ossia il mese della consapevolezza sulla morte perinatale, è tradizionalmente Ottobre; Maggio, però, da sei anni a questa parte, è il mio personale mese della consapevolezza e per me motivo di grande riflessione, personale e professionale.
Personale perché a Maggio di sei anni fa mi sono scontrata con l’eventualità di essere una donna fisicamente e psicologicamente vulnerabile in quell’area per cui il corpo di ogni donna è programmato e che porta avanti da milioni di anni.
Professionale perché questo mio vissuto è diventato l’ambito lavorativo in cui più investo le mie energie e la mia formazione. In questi 3 anni di attività con le mamme che hanno vissuto una perdita perinatale, dunque, spesso mi è stato chiesto perché lo faccio: come faccio ad accogliere e lavorare su tanta sofferenza? Lo faccio per chi ha perso un bambino e per chi non riesce a chiamarlo bambino; per chi cova da subito la speranza e per chi trova difficile sperare perfino di alzarsi dal letto la mattina dopo; per chi ha perso un figlio di 3 kg, di 200 g o subito dopo aver fatto il test.
“E come vedi i riti e lo scendere in piazza a portare la propria testimonianza?”, mi è stato chiesto. La mia posizione è di assoluto rispetto: rispetto per chi non partecipa alle manifestazioni e per chi invece è un veterano; per chi pochi giorni dopo la perdita è già in piazza a testimoniare il proprio dolore e per chi non ci va nemmeno dopo anni; per chi vuole partecipare all’onda di luce e per chi odia le candele e vuole vivere il proprio dolore sentendosi sicuro in casa propria; per chi sta bene nella dimensione del rito e per chi un suo rito non l'ha ancora trovato o voluto trovare.
Mi è stato chiesto spesso anche quale fosse la mia posizione sull'interruzione di gravidanza, "tu che di aborti ne hai subiti due", sottolineando in qualche modo l'impossibilità che dovrei avere a lavorare con chi lo ha, invece, scelto. La mia risposta è sempre stata questa: io lavoro sull'ascolto, sul supporto, sul sostegno alla donna e alla sua comunità; la mia professionalità mi richiede di non discutere se la donna abbia o meno il diritto di scegliere (diritto di scelta legittimato, peraltro, dal 1978); mi impone, piuttosto, di ricordare sempre che la donna ha il diritto di non essere mai sottoposta a giudizio. Ciò a cui ha, invece, diritto ogni donna (ogni essere umano, in realtà) è l’accoglienza e la comprensione di ciò che è meglio per lei, senza la pretesa di convincerla, influenzarla o manipolarla. Il giudizio, quindi, non mi compete, né come donna né tanto meno come psicologa: a me competono l'ascolto, la comprensione e il sostegno.
Per tutte queste persone che oscillano dentro tutte queste posizioni il mio Babyloss Awareness Month continua, a Ottobre, a Maggio e per ogni giorno di ogni mese di ogni anno, perché il mio lavoro non sta bene a nessuno di questi estremi, ma abbraccia tutta la linea, ci sta in mezzo, accoglie ogni sfumatura e lavora con quello che c'è.
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